Alla scoperta del patrimonio artistico, perduto e non, della chiesa di San Vito
di Maria Immacolata Dunia
Premessa
Don Vincenzo Tropeano, Giuseppe Beniamino Mustica, Paolo Cosmano, oltre al già citato Giovanni Alessio e altri, hanno attenzionato Molochio con indagini e ricerche. Ogni loro studio è un seme di storia e un punto di partenza per approfondire ed ampliare l’indagine sulle radici di Molochio.
La chiesa di San Vito, per tutti noi affettuosamente “Chiesa Vecchia”, è attualmente, il bene più antico che Molochio possiede. Durante le ricerche di questi anni, ho avuto modo di scoprire come la nostra vecchia comunità fosse dotata di chiese di cui abbiamo perso memoria, come: San Sebastiano, San Nicola, Santo Stefano. Diversa è la sorte della chiesa di San Marco, ricordata dall’omonima piazzetta adiacente al luogo dove il santuario del santo dei notai, sorgeva.
Troppe, però, sono le cose che ancora ignoriamo. Alcune indagini sono state realizzate in passato, ma purtroppo non hanno mai investito l’intera comunità. Ma sia per il meticoloso lavoro fatto dai nostri studiosi, sia per avviare delle indagini che con il tempo annullino le nostre lacune, questa rubrica vuole solleticare la curiosità e riportare all’attenzione studi e ricerche, realizzati dai nostri appassionati studiosi e scienziati, per poi allargare ed approfondire l’indagine storica.
Dalla chiesa di San Giuseppe all’attuale San Vito. La sovrapposizione delle chiese molochiesi
Partendo da un articolo di “Calabria Letteraria” del 1981, firmato don Vincenzo Tropeano, dal titolo “Molochio: la Chiesa di San Giuseppe fondata da Mons. Palermo”, scopriamo che dove oggi sorge la chiesa di San Vito, il 12 marzo del 1667, monsignor Giuseppe Palermo benediva e poneva la prima pietra per la costruzione della chiesa dedicata a “San Giuseppe”, di cui era molto devoto. Veniamo anche a conoscenza di questo illustre personaggio molochiese, appunto monsignor Palermo, la cui storia è sconosciuta, ma di cui rimane un ritratto (fig. 2), anche se posteriore, e l’intestazione di una via. Avremo modo di approfondire la figura del Palermo, ma questa volta l’attenzione si rivolge alle vicende della chiesa.
La chiesa di San Giuseppe del 1667, nasce su un terreno appositamente acquistato dal Palermo, vicino al palazzo della sua nobile famiglia, che Tropeano suppone situato (prima che il terremoto del 1783 lo radesse al suolo, insieme alla biblioteca dei Palermo), dove oggi sorge via del Purgatorio.
Lo studioso molochiese visiona un documento, attualmente andato disperso (che cita come “PFP” ossia Pergamena Fondazione Palermo), dal quale emerge la preoccupazione del monsignore che sente arrivare la fine dei suoi giorni, a dispetto di tutte le cose che mancano per concludere la chiesa. Il timore di morire prima che la chiesa fosse ultimata lo porta a disporre che, per affrontare le spese di completamento dell’edificio, si vendesse tutto l’olio di sua proprietà e, temendo non bastasse, acquista due case con il fine di creare due botteghe “che rendano per il completamento della chiesa”.1
Muore, senza vederla ultimata, il 31 ottobre del 1673.
La tanto desiderata chiesa di San Giuseppe, di monsignor Giuseppe Palermo, durerà circa un secolo per poi essere distrutta dal terremoto del 5 febbraio del 1783.
Il terribile sisma, di 7° della scala Richter, con epicentro la Piana di Gioia Tauro, alle ore 12.45, rase molti centri abitati della Calabria, causando morti, distruzioni e successivamente epidemie, carestie e miseria, segnando profondamente la comunità.
Ferdinando IV Borbone, re di Napoli, con l’intento di intervenire nella ricostruzione dopo il catastrofico sisma, crea la “Cassa Sacra”. La “Giunta di Cassa Sacra”, meglio nota semplicemente come “Cassa Sacra”, è un organo pensato appositamente per la “Calabria Ulteriore” (fig. 3), vittima del tragico sisma.
Sulle fondamenta della chiesa del Seicento, eretta esclusivamente con le risorse economiche del monsignore, nel 1789, per mezzo dalla Cassa Sacra, è costruita la nuova chiesa parrocchiale e arcipretale intestata questa volta non più a San Giuseppe ma a Santa Maria de Merula.
Un ventennio dopo l’edificazione, l’aumento della popolazione rende necessaria la realizzazione di un nuovo edificio sacro e, viste le condizioni precarie in cui versa la chiesa costruita dal governo borbonico, si pensa di realizzare la nuova nella stessa area, costruendo questa volta nuove fondamenta (infatti la chiesa costruita con i fondi della Cassa Sacra, per economia, poggiava, almeno per la lunghezza, su quelle della chiesa di San Giuseppe del Seicento).
Ad avanzare richiesta per la nuova edificazione è il Decurionato (termine con il quale tra il XVIII e XIX secolo viene indicato il consiglio comunale, paragonabile alla nostra attuale amministrazione comunale), e il 2 ottobre del 1844, viene approvato il progetto dell’architetto Francesco Saponieri di Napoli e nel 1847 l’arciprete Pasquale Scarpari (a cui sono intitolate, non a caso, le piccole vie vicino alla piazzetta Canali) benedice la prima pietra della nuova chiesa. La chiesa è l’attuale San Vito, per la quale Tropeano scrive:
“I molochiesi poterono godersi la chiesa parrocchiale così bella, così maestosa poco tempo: quanto bastò perché si imprimesse nella mente dei nostri nonni, negli occhi dei quali si leggeva la bellezza e la grandiosità, quando, a noi, bambini, raccontavano delle donne, raffigurate nelle pitture, che raccoglievano la manna “grossa così”, dicevano, e facevano il gesto con la mano quasi per mostrartela); dell’Accardo, che era diventato il modello del Giosuè biblico in atto di fermare il sole, delle anime dei dannati, che gridavano la loro disperazione nell’inferno, delle fiamme del purgatorio; dei dodici apostoli, che venivano fuori dai loro ovali posti tra i finestroni, del Cristo benedicente, che, al centro, dominava con la sua presenza tutto il tempio”.
Al terremoto del 1908 la chiesa resistette. A distruggerla fu il soffio che alimentava il fuoco della paura tra la gente, tanto era vivido il ricordo dell’ultimo sisma, che qualcuno ne approfittò (secondo la ricostruzione del Tropeano) per trarne guadagno. La paura riguardava l’altezza dell’edificio per cui la soluzione era abbassarla. Abbassare l’altezza e rifare il tetto voleva dire, tradotto, eliminare tutta la fascia che ospitava gli affreschi. La chiesa era alta, maestosa e bella; affrescata alla maniera barocca con scene del vecchio e del nuovo testamento di cui è stato possibile rintracciare i temi. In alcuni disegni preparatori della bottega dei Morano 2 (fig. 4) è possibile avere l’immagine di come si presentava la parete con i due registri orizzontali: quello che avrebbe ospitato i tondi con i bassorilievi e quello superiore che avrebbe contenuto gli affreschi.
Il disegno preparatorio di un bozzetto relativo allo studio della posizione dei bassorilievi, è l’unico documento che ci permette di vedere come si presentava la parete dell’edificio (prima ancora che questa venisse dipinta). Il danno non è indifferente se ci soffermiamo sul fatto che Molochio non presenta affreschi e rappresentazioni dipinte di particolare antichità.
Monsignor De Leo, arciprete nei primi anni del Novecento, prova a salvare la chiesa evitando di celebrare le funzioni fino al 1916, ma la paura che un nuovo terremoto facesse crollare edificio vinse.
Don Vincenzo Tropeano trasmette nel suo scritto la rabbia per il disastro compiuto per mano del capomastro Vincenzo Iorianni, un disastro che pare finalizzato al profitto economico. La chiesa (l’edificio attuale) verrà riconsegnata alla comunità, mutilata degli affreschi, nel 1921.
Approfondimenti
La bottega dei Morano di Polistena è l’artefice delle bellezze artistiche che arricchiscono l’interno della chiesa. Sappiamo che gli stessi bozzetti sono stati usati anche per la decorazione di altre chiese. Nonostante lo stato in cui verte la nostra chiesa, queste opere e anche i colori, che risalgono ad oltre un secolo, sono quelli conservati meglio. Il lavoro dei Morano all’interno della chiesa, come il lavoro del pittore, artefice degli affreschi e pare (ma mi riservo di fare maggiori verifiche) del dipinto di mons. Giuseppe Palermo, necessitano di appositi articoli per cui non è possibile dare in queste pagine lo spazio che meritano. Mi riservo, per questo, di approfondirli per voi, successivamente.
1.Nota ⇑ Citazione estrapolata dall’articolo di don Vincenzo Tropeano, a sua volta riportata dal disperso documento denominato “PFP”.
2.Nota ⇑La bottega artistica della fam. Morano è una delle più importanti botteghe della Calabria e compiono diversi interventi a Molochio, oltre ai lavori per la chiesa di San Vito.