Prosegue il nostro viaggio alla scoperta del patrimonio artistico di Molochio
di Maria Immacolata Dunia
Foto in alto (Fig.1): Facciata Chiesa di San Vito. Foto di Tony Mezzatesta
Premessa
Proseguendo la nostra indagine sulla chiesa di San Vito, avviata nel numero precedente, l’attenzione viene ora rivolta all’architettura, allo stile, alle sculture ed ai loro artefici.
L’articolo, già citato, di don Vincenzo Tropeano fornisce molte informazioni ma manca della paternità delle sculture; nella nota 52 afferma di non essere riuscito a trovare:
“(…) il nome del pittore che ha fatto le pitture e gli stucchi. La tradizione popolare che vuole che sia Vincenzo Basile (di Tropea o di Bagnara?), trova riscontro nel restauro del quadro di Mon Signor Palermo fatto dal Basile nello stesso periodo (…)”.
Dall’articolo
“Molochio: la Chiesa di San Giuseppe fondata da Mons. Palermo”,
di don Vincenzo Tropeano, in Calabria Letteraria, 1981
In “Sulle Arti in Calabria – Dizionario biografico e documentario su artisti e opere d’arte” di Antonio Tripodi, edito da Adhoc (2016), trova corrispondenza al nome Basile Vincenzo, un pittore, nato a Borgia il 9 marzo del 1790 e morto a Tropea il 22 gennaio del 1873. Questo riscontro conferma l’esistenza dell’artista e non smentisce la tradizione popolare che lo colloca all’interno della chiesa. Lo studioso molochiese però, erroneamente, lo ipotizza autore delle pitture e degli stucchi.

È probabile che il Basile sia, esclusivamente, il padre degli affreschi andati persi. Una ulteriore conferma è data da una delibera comunale del 13 maggio del 1856, in cui compare Basile semplicemente come “pittore” e un certo Vincenzo Amato, come “artefice”.
Attualmente non vi è riscontro di un artista dal nome “Vincenzo Amato” e la stessa definizione come “artefice” non aiuta.
Sappiamo, dalle indagini di Tropeano fatte nell’archivio comunale, che l’Amato fu al centro di una questione legata all’altare principale della chiesa che, in quanto mancante di proporzioni rispetto agli altari delle cappelle laterali, veniva appellato come “indecente in un magnifico tempio (…)”
La diatriba tra il Comune e l’Amato sarà lunga ma quello che, ai fini della nostra indagine, interessa è che:
- il suo altare veniva messo a confronto con i quattro laterali, quindi, realizzati da altri;
- in una delibera comunale dell’8 giugno del 1854, risulta vincitore dell’appalto per la costruzione dell’altare centrale, e non di altro;
- Vincenzo Basile è un pittore, non uno stuccatore o uno scultore.
Diversi disegni preparatori provenienti dalla bottega dei Morano, e posseduti dai discendenti degli artisti, di cui uno pubblicato nel numero precedente, testimoniano che gli artefici di sculture e decorazioni furono proprio gli artisti polistenesi.
Questi bozzetti consentono di avere un’immagine dell’interno, per noi preziosissima, ed ammirare la parete della chiesa come era in origine, quando, prima dell’abbassamento del tetto, aveva custodito le magnifiche pitture del Basile, purtroppo andate perse.
La chiesa presenta due ordini stilistici: “Neoclassico” all’esterno, “Barocco Napoletano” all’interno. Anche ai meno esperti di stili emerge la divergenza tra dentro e fuori.
Il progetto architettonico di Francesco Saponieri, approvato il 2 ottobre del 1844, è infatti in linea con il Neoclassicismo di fine Settecento e inizi Ottocento.
Lo stile denominato “Neoclassico” si delinea con l’intensificarsi delle scoperte archeologiche della metà del Settecento (è il secolo in cui il mondo scopre Pompei -1748 – e vede nell’architettura di epoca classica il massimo modello a cui ispirarsi) ed è collegato al pensiero illuminista che punta alla volontà di recuperare la semplicità naturale delle forme architettoniche.
Ed infatti la facciata della chiesa è una composizione di geometrie semplici che richiamano i templi dell’antichità (fig. 1).
La pianta è rettangolare ad un’unica navata con una grande abside centrale. Divisibile in tre fasce orizzontali, la facciata, nelle fasce esterne presenta il profilo di due lunghe colonne, dal capitello molto semplice e squadrato, che sostengono idealmente un architrave.
La fascia centrale, che ospita il grande portone d’ingresso inserito in una cornice scanalata, sui lati verticali più esterni è arricchita da due colonnette culminanti da un capitello composito, con foglie di acanto ed echino a volute che sorreggono idealmente l’architrave di un piccolo frontone, la cui punta segna il centro esatto dell’architrave soprastante che ospita l’iscrizione latina “DOMUS MEA DOMUS ORATIONIS”, (letteralmente “la mia casa di preghiera”) e sorregge un frontone il cui timpano è privo di qualsiasi elemento decorativo.

Ma l’articolo del Tropeano riporta che vi era incisa tutt’altra iscrizione: “Terremotu destructum concinnius resurgebat”.
Grazie alla documentazione fotografica, sappiamo che inizialmente il timpano ospitava un’apertura centrale (forse una grande finestra rettangolare) e che la facciata si presentava leggermente diversa. Anche l’entrata vedeva un portone che, anziché perfettamente squadrato, culminava con un piccolo arco ribassato (fig. 3).
L’obiettivo principale per cui si sviluppa lo stile Neoclassico in Europa è quello di opporsi e sostituirsi allo stile Barocco (cronologicamente il Barocco nasce prima del Neoclassicismo, nel XVII secolo, ossia caratterizza il Seicento) che si distingue per il ricco uso di forme plastiche, il ricco uso di colori, marmi e l’inclinazione alle linee curve (figg. 2-6).
Nella chiesa molochiese scultura e decorazione a stucco si fondono con la composizione architettonica dell’interno, come vuole la scuola barocca, per raggiunge un livello di fusione tale da realizzare un’opera d’arte unitaria in cui risulta accentuato l’elemento scenografico (fig. 2).
La decorazione è arricchita con l’uso di colori sgargianti come l’azzurro, il rosa, il giallo e le varie tonalità di rosso, che esplodono di fronte agli occhi del visitatore per la forte opposizione con lo stile Neoclassico dell’esterno che è semplice, lineare e monocromo.

APPROFONDIMENTI
I Morano di Polistena erano tra le botteghe più importanti del tempo. Piene delle loro opere sono le chiese di tutta la provincia, e oltre. Alcuni disegni preparatori sono stati usati su più edifici religiosi, apportando giusto delle modifiche di adeguamento. I bozzetti della nostra chiesa sono successivamente serviti come base per altre chiese.
Di Vincenzo Basile sono conservate opere nella Pinacoteca arcivescovile di Nicotera. Questa notizia consente di avviare una ricerca per ricostruire lo stile che verosimilmente avranno avuto gli affreschi di San Vito.
Francesco Saponieri era un insigne urbanista della Reale Accademia di Napoli. Ognuno di loro merita degli approfondimenti, come già detto anche per mons. Palermo. Con il tempo daremo il giusto spazio ad ogni singolo elemento della storia della chiesa e della nostra storia in generale.